Un recente studio condotto dal dottor Marco Vitali, biologo del Centro di Medicina della Riproduzione Biogenesi, in coordinazione con la dottoressa Mariabeatrice Del canto e il dottor José Buratini del Centro di Medicina della Riproduzione Biogenesi degli Istituti Clinici Zucchi di Monza del Gruppo San Donato, si è focalizzato sugli effetti dell’età paterna sugli esiti dei trattamenti di procreazione medicalmente assistita in relazione all’età materna.
Si tratta di un approccio nuovo, sviluppato nell’ambito del Master in Tecnologie della Riproduzione Assistita dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona, e che tiene in considerazione i cambiamenti di lifestyle a cui si assiste da diversi anni a questa parte: l’età media delle coppie che cercano un figlio è infatti aumentata.
Se, da un lato, è comprovato che l’età della donna rappresenti un fattore di rischio in termini di esiti riproduttivi, d’altro canto sono ben poche le ricerche che si sono invece focalizzate sull’impatto che l’età paterna può avere sulle possibilità di concepimento, specie nei casi in cui l’età del partner femminile sia avanzata.
Attualmente sappiamo che la letteratura scientifica mette in evidenza un effetto dell’età dell’uomo sulla qualità del liquido seminale, con diminuzione di volume e motilità degli spermatozoi e contestuale incremento della frammentazione del DNA spermatico. Resta invece controverso l’impatto dell’età sulla concentrazione degli spermatozoi, così come non è accertato se l’assenza di patologie croniche o di uno stile di vita negativo possa mantenere ottimale la qualità del seme più a lungo.
Gli studi finora condotti relativamente all’impatto dell’età paterna sull’esito dei trattamenti di PMA sono inoltre talvolta difficilmente interpretabili, essenzialmente perché non tengono conto in parallelo dell’età materna.
Cosa evidenzia la nuova ricerca in termini di età, stili di vita e qualità del liquido seminale
Il team di ricerca composto dal dottor Marco Vitali, dalla dottoressa Mariabeatrice Dal Canto e dal dottor José Buratini ha condotto uno studio retrospettivo. L’obiettivo della ricerca era analizzare l’impatto dell’età maschile sulle caratteristiche del liquido spermatico e la sua incidenza sui tassi di successo nella fecondazione, nell’impianto e nei bambini nati vivi nelle coppie sottoposte a trattamenti di PMA.
Spiega la dottoressa Dal Canto: “Lo studio si è basato sui dati di 5.565 pazienti maschi del Centro di Medicina della Riproduzione Biogenesi – raccolti dal 2015 al 2020 – suddivisi in cinque gruppi in base all’età – gruppo A (da 25 anni a 34 anni), gruppo B (da 35 anni a 39 anni), gruppo C (da 40 anni a 44 anni) e gruppo D (più di 45 anni) – e ha preso in considerazione tre parametri di qualità del liquido seminale: volume dell’eiaculato, concentrazione di spermatozoi e motilità progressiva.”
La ricerca ha inoltre valutato l’effetto dell’età paterna anche su pazienti sani, ossia su individui che non soffrissero di diabete, malattie cardiache, coagulopatie, neoplasie genitali, disturbi andrologici, fibrosi cistica e microdelezioni del cromosoma Y e che conducessero uno stile di vita “favorevole”, ossia privo di fumo e assunzione di alcol e droghe.
In questo modo, è stato possibile indagare sia come l’età paterna possa influire sulla qualità del liquido seminale, sia come la presenza di uno stile di vita favorevole e l’assenza di patologie possano essere associate a una sua migliore qualità in termini di volume, concentrazione, numerosità e motilità.
“In entrambe le popolazioni, abbiamo osservato una significativa riduzione della motilità e del volume dell’eiaculazione con l’avanzare dell’età paterna e non abbiamo invece riscontrato alcuna riduzione significativa della concentrazione di spermatozoi,” conclude la dottoressa Dal Canto.
L’impatto dell’età maschile sull’esito dei trattamenti di PMA in relazione all’età femminile
“Per valutare l’effetto dell’età paterna sugli esiti dei trattamenti di PMA abbiamo preso in esame 1.958 cicli con transfer a fresco avvenuti tra il 2015 e il 2019, che presentavano cause di infertilità inspiegata, legata a fattore maschile, fattore tubarico, fattore ovulatorio, ovaio policistico (PCO) o sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), mentre sono stati esclusi casi di endometriosi e fattore genetico Per valutare l’impatto dell’età paterna, i cinque gruppi sono stati suddivisi in base all’età della partner: minore di 37 anni e maggiore di 37 anni, dove i 37 anni rappresentano l’età dopo la quale si verifica un forte calo delle possibilità di sviluppo di ovociti ed embrioni. I dati ottenuti indicano un impatto dell’età paterna solo se correlato all’età materna avanzata: i tassi di impianto e di bambini nati vivi sono stati influenzati in modo significativo dall’età paterna solo nelle coppie in cui età paterna e materna elevate sono associate,” spiega ancora la dottoressa.
La conclusione dello studio, sulla base dei dati disponibili, è quindi che vi sia un’incidenza negativa dell’età paterna sui parametri legati alla qualità del liquido seminale e che tale influenza sia rilevante sugli esiti dei trattamenti di procreazione medicalmente assistita soltanto in presenza di un’età femminile avanzata.