Secondo i dati dell’Istituto Superiore della Sanità, l’infertilità colpisce circa il 15% delle coppie in Italia e dal 10% al 12% delle coppie nel mondo.
Si tratta di una condizione trasversale e diffusa, con cause che interessano la partner femminile nel 35%-40% dei casi e il partner maschile nel 30%-40%.
Nel 20% dei casi si parla di infertilità idiopatica o “sine causa”, una definizione utilizzata laddove le ragioni dell’infertilità non possano essere accertate con precisione.
Per l’OMS l’infertilità è una patologia che si manifesta con l’incapacità di concepire dopo 12-24 mesi di rapporti sessuali regolari, mirati e non protetti, in base all’età della donna. Dal momento che la fertilità di quest’ultima declina rapidamente a partire dai 35 anni di età per esaurirsi drasticamente dopo i 40-42 anni, l’iter diagnostico dovrà essere affrontato nei tempi e nelle modalità corrette.
Commenta in tal senso il dottor Ruggero Comi, specialista in Ginecologia e Ostetricia del Centro di Medicina della Riproduzione Biogenesi degli Istituti Clinici Zucchi di Monza, del Gruppo San Donato: “In fase di diagnosi dell’infertilità vi sono esami e test indispensabili da effettuare per arrivare rapidamente alla diagnosi e alle proposte terapeutiche e altri che, al contrario, non recano particolari benefici.”
Spiega ancora il dottor Comi che, secondo lo studio scientifico “Awareness of the effects of postponing motherhood among hospital gynecologists: is there knowledge sufficient to offer appropriate help to patients?” condotto nel 2016 in otto ospedali pubblici e private del Nord Italia, “molti ginecologi non sono realmente consapevoli del peggioramento della prognosi riproduttiva con l’avanzare dell’età: il 56% degli intervistati, ad esempio, considera “non rara” la possibilità per una donna di concepire in maniera naturale tra i 44 e i 50 anni. Il rischio è che questi medici possano consigliare alle loro pazienti una strategia di attesa, anziché indirizzarle nei tempi corretti verso la diagnosi e l’eventuale cura”.
Quali sono quindi i principali comportamenti che possono avere conseguenze negative nella gestione delle fertilità? È possibile identificarne una decina.
Attendere ancora nonostante la coppia stia cercando di concepire in maniera naturale da oltre 12 mesi
Se la coppia cerca di ottenere un figlio in modo naturale da oltre un anno, è importante che non aspetti ancora e che si rivolga quanto prima a un ginecologo specializzato in Medicina della Riproduzione, così da accertare le eventuali cause di infertilità nell’uomo o nella donna.
Se la donna ha più di trentacinque anni, è fondamentale che l’iter diagnostico venga intrapreso già dopo sei mesi di tentativi di concepimento naturale infruttuosi.
Il medico di base o ginecologo che suggerisce di attendere ancora potrebbe, pertanto, contribuire a impedire una diagnosi quanto possibile precoce dell’infertilità e l’eventuale risoluzione tempestiva del problema.
Considerare esclusivamente la partner femminile della coppia
Un altro limite nella gestione della fertilità può riguardare l’eccessivo focus sulla partner femminile della coppia. Non va infatti dimenticato che, in circa il 50% dei casi, la causa prevalente o associata dell’infertilità è da addursi al partner maschile.
È quindi importante che tra gli esami di base da prescrivere a una coppia affetta di sterilità sia sempre incluso lo spermiogramma, ossia l’analisi del liquido seminale.
Prescrivere testosterone o prodotti a base di testosterone al partner maschile
La terapia con testosterone è comunemente utilizzata nella gestione dell’ipoandrogenismo (una condizione che identifica un livello di testosterone troppo basso nell’organismo), nonché di uno dei suoi sintomi principali: la disfunzione sessuale.
Tuttavia, è assodato che l’assunzione di testosterone esogeno e di altri androgeni possa generare la riduzione o addirittura l’assenza di produzione spermatica, un calo nel numero di spermatozoi e persino infertilità maschile. È anche vitale tenere a mente che tali sintomi potrebbero non essere sempre reversibili, neppure nei casi in cui la somministrazione di androgeni venga interrotta.
Includere la laparoscopia diagnostica nella diagnosi dell’infertilità idiopatica
La pratica di includere la laparoscopia diagnostica nella routine diagnostica dell’infertilità sine causa è discutibile.
Sebbene questa indagine invasiva permetta una diagnosi precisa sulle cause della sterilità femminile, inclusi gli esiti di infezioni pelviche pregresse, la presenza di endometriosi o di altre patologie pelviche, la sua effettiva necessità è quasi sempre scarsa poiché la maggior parte dei motivi di sterilità hanno come indicazione terapeutica la fecondazione in vitro.
La laparoscopia diagnostica potrà invece essere impiegata per le coppie che rifiutano i trattamenti di PMA.
Eseguire test avanzati di funzionalità spermatica nella diagnosi iniziale dell’infertilità
Seppure con i dovuti limiti legati a fattori esterni quali astinenza, temperatura, stress e assunzione di farmaci, lo spermiogramma rimane oggi l’esame di base per definire la presenza di un fattore maschile di sterilità.
Esistono attualmente test avanzati di funzionalità che dovrebbero permettere di misurare la capacità degli spermatozoi di fecondare la cellula uovo in vitro (tra questi, il “test dell’emizona” e il “test della penetrazione spermatica”), ma i loro risultati sono ancora molto discussi, specialmente in considerazione dei costi e della complessità degli esami, a fronte di una non evidente correlazione con la reale capacità fecondante dello spermatozoo.
Eseguire il PCT (test post-coitale) per valutare l’infertilità della coppia
Chiamato anche test di Hühner, il test post-coitale (PCT) è un esame di laboratorio che veniva un tempo impiegato per cercare di identificare la presenza di un “fattore cervicale” di sterilità capace di influenzare negativamente la motilità degli spermatozoi nel muco cervicale ovulatorio.
Ad oggi e in considerazione delle notevoli evoluzioni tecnologiche e diagnostiche nel campo della Procreazione Medicalmente Assistita, il test post-coitale ha perso ogni significato clinico e diagnostico e non dovrebbe pertanto essere considerato necessario.
Eseguire un test di trombofilia come routine nella valutazione iniziale di infertilità
Se l’anamnesi raccolta con attenzione è negativa, i pazienti che non presentano alcuna storia di sanguinamento, coagulazione anomala o storia familiare non necessitano di essere sottoposti a un test tanto costoso e con tempi di realizzazione prolungati come quello di trombofilia.
Includere test immunologici nella valutazione di routine dell’infertilità
Tipicamente, la diagnosi dell’infertilità include lo studio ormonale dell’integrità dell’asse ipofisi-ovaio e la conseguente valutazione dell’ovulazione, lo studio del partner maschile tramite spermiogramma e la verifica della pervietà delle salpingi.
Nonostante l’influenza che i fattori immunologici potrebbero avere nell’impianto dell’embrione, i test immunologici sono da riservarsi solo a casi specifici in cui sia stata accertata una alterazione dei normali meccanismi di tolleranza immunologica (ad esempio nelle pazienti affette da malattie autoimmuni) o laddove sia già stato documentato un ripetuto fallimento riproduttivo (poliabortività o ripetuto fallimento d’impianto dopo trasferimento di embrioni).
Includere l’analisi del cariotipo nei test iniziali per l’amenorrea
Si definisce amenorrea l’assenza di ciclo mestruale.
Questa condizione può avere molte cause e un’analisi cromosomica come quella del cariotipo è da considerarsi indicata in tale diagnosi soltanto quando altre cause più comuni di questo sintomo (tra cui figurano, ad esempio, l’eccessiva magrezza o obesità, lo stress, l’uso di farmaci) siano già state escluse.
Eseguire la biopsia endometriale nella valutazione iniziale dell’infertilità
La biopsia endometriale non è un’analisi che permette una distinzione tra donne fertili e donne infertili. Inoltre, l’endometrite cronica non preclude la probabilità di gravidanza in generale né si associa a un incremento in generale dei tassi di natalità nei trattamenti di Procreazione Medicalmente Assistita.
“Il nostro suggerimento, quindi, è di rivolgersi a un medico esperto in Medicina della Riproduzione trascorsi i tempi suggeriti all’inizio del presente articolo, cercando di evitare sia l’accanimento diagnostico, sia il fai da te sia la strategia dell’attesa, quando ingiustificata,” conclude il dott. Comi. “Uno degli aspetti più importanti nella diagnosi dell’infertilità è infatti la tempestività. Perdere tempo nell’iniziare l’iter diagnostico oppure perderlo in iter diagnostici inutilmente complessi è sbagliato e ha un impatto negativo specialmente sulla donna, per la quale, specie se è sopra ai 35 anni di età, è molto importante rispettare i tempi dell’età fertile e affrontare quanto prima diagnosi, cura ed eventuali trattamenti.”