Nelle scorse settimane, il noto magazine Vanity Fair ha pubblicato un interessante articolo che approfondisce le cinque principali motivazioni e i quattro trattamenti di riferimento per la problematica dell’aborto spontaneo ricorrente, che colpisce circa il 15% delle gravidanze nelle prime ventiquattro settimane della gestazione. È anche importante sottolineare che la tematica delle abortività ricorrenti (RPL) include anche le gravidanze ottenute tramite trattamenti di PMA.
Intervistata sull’argomento da Lidia Pregnolato, giornalista di Vanity Fair, è stata la dottoressa Silvana Gippone, specialista in Ginecologia e Ostetricia del Centro di Medicina della Riproduzione Biogenesi, che così commenta:
“Per una corretta diagnosi di aborto ricorrente vi sono indagini raccomandate per tutte le coppie e test che potrebbero essere presi in considerazione solo per alcune, a seconda della loro storia clinica e familiare. Per questa ragione, la prima importante valutazione da svolgere riguarda proprio la storia clinica dei pazienti per scoprire se, a uno o entrambi i partner o ai loro familiari, siano state diagnosticate in passato condizioni mediche che potrebbero essere causa di aborti spontanei. Tra queste vi sono, ad esempio, anomalie congenite, trombofilia, sindrome dell’ovaio policistico, diabete o anomalie della tiroide, amenorrea o oligomenorrea.”
Aborto ricorrente: opzioni diagnostiche e trattamenti d’elezione
L’articolo esplora poi le principali indagini diagnostiche per la poliabortività: lo screening per possibili disfunzioni della tiroide, il cui malfunzionamento può generare una produzione eccessiva o insufficiente di ormoni tiroidei e aumentare il rischio di aborto spontaneo; l’esame pelvico per l’accertamento di eventuali malformazioni o anomalie dell’apparato genitale femminile che potrebbero rendere difficoltoso l’impianto dell’embrione o lo sviluppo del feto; l’analisi genetica e, più nello specifico, del cariotipo fetale che, non in tutti i casi ma certamente in alcuni, permette di indagare le cause di una particolare perdita; la ricerca di autoanticorpi nel siero materno, un particolare tipo di linfociti B che attacca altre cellule dell’organismo, spesso rilevato in pazienti con malattie autoimmuni; e la frammentazione del DNA spermatico, una condizione che incrementa anch’essa il rischio di perdita della gravidanza.
Infine, vengono affrontate le principali opzioni di trattamento da definirsi in funzione della diagnosi ottenuta.
Nello specifico, verrà consigliato il trattamento con levotiroxina in caso di disfunzione tiroidea in caso di presenza di malformazioni dell’apparato genitale correlate con la poliabortività, può essere necessaria la correzione chirurgica di tali anomali; la consulenza genetica (che, nel caso di un percorso di procreazione medicalmente assistita, potrà includere anche la diagnosi genetica preimpianto) per la valutazione del rischio di anomalie genetiche.
Se la problematica interessa invece il seme, il medico suggerirà al partner maschile della coppia eventuali cambiamenti allo stile di vita che potrebbero rivelarsi risolutivi.
È possibile leggere l’articolo per intero sulla versione digitale di Vanity Fair.